27/05/10

 

Mozambico: La violenza è dipendenza?

http://macua.blogs.com/moambique_para_todos/2010/05/mocodoene-criminosos-alvejam-padre-e-sofrem-baixa.html#more

Il degrado che la crisi economica sta acutizzando nel mondo, si riflette negli ultimi giorni anche in Mozambico ed il link qui sopra ne porta un esempio. Sino ad oggi il paese è stato considerato – in un certo senso anche a ragione – un paese tranquillo, dove i tassi di violenza erano tutto sommato contenuti rispetto ai più agitati vicini; è un dato concreto infatti che rispetto ai paesi che lo circondano, Sud Africa, Angola, Tanzania e Zimbawe, esso abbia sempre presentato flussi e picchi di criminalità meno intensi e più controllati.

Ultimamente però una escalation di violenza sta lasciando traccia della sua presenza, da nord a sud e da sud a nord – diffondendosi ancora, per fortuna, a ritmi non troppo allarmanti. Da una parte c’è il riflesso dell’acutizzarsi della diseguaglianza approfonditasi e resa più insopportabile dalla recente crisi economica e dall’altrà part,e invece, la restrizione delle norme sull’immigrazione in Sud Africa che ha costretto molti mozambicani ad un rientro forzato e frustrante dopo anni di discriminazione in terra sudafricana.

Questi due elementi hanno generato, insieme al malcontento presente soprattutto al nord, dove la componente d’opposizione – RENAMO – è più forte e trascina con se anni di frustrazione politica, la crescita esponenziale di episodi di violenza che vedono coinvolti bande armate che attaccano senza eccezion fatta la cittadinanza. L’ultimo episodio risale a pochissimi giorni fa e ha allarmato gli occhi più critici. E’ stata infatti attaccata la missione cattolica di Mocoduene, piccolissimo centro della provincia di Inhambane e ferito, a colpi di arma da fuoco, padre Thiago conosciuto e stimato dalla comunità per il suo pluriennale impegno.

A spaventare infatti non è semplicemente l’attacco personale, il furto o la perdita di beni, seppure importanti; a spaventare è che in questi attacchi non si riconosce la benchè minima attenzione a discernere tra chi è impegnato attivamente nella stesse comunità in cui i ladroni sono nati e cresciuti e il comune mzungu – bianco. Questo può significare diverse cose e pone diversi interrogativi: si sta perdendo il legame con la comunità? Non siamo più in grado di farci conoscere dal popolo dei villaggi dove lavoriamo? La povertà è l’unica artefice dell’allargarsi a macchia d’olio dei target dei ladri?

Il fatto che sempre più spesso siano le missioni o le organizzazioni non governative l’obiettivo di questi furti, significa che ad ampliarsi, oltretutto, è anche il divario tra il lavoro dei padri o degli operatori locali e le comunità. C’è, forse, un problema di comunicazione e quindi di percezione e ricezione del messaggio che queste istituzioni portano attraverso il loro – nostro – lavoro. E’ quindi necessario interrogarsi sull’opportunità di ridefinire gli strumenti di dialogo e coinvolgimento delle comunità locali per chiarificare che la nostra presenza, con alcune eccezioni, non è una “nuova presenza colonizzatrice” – o per lo meno non solo, secondo quanto si sta dibattendo ultimamente in Europa.

A mio avviso è importante che il primo passo parta da noi “agenti dello sviluppo” e in possesso dei mezzi per ridefinire e calibrare il coinvolgimento delle comunità nei nostri progetti. Poiché se un bug nelle comunicazioni c’è o c’è stato, parte delle responsabilità sono anche nostre. In fondo la sfida è attuale e la posta in palio è la stessa riuscita dei nostri progetti, nonché sul lungo periodo lo sviluppo.

Sfidiamo noi stessi! e la nostra stessa evoluzione filosofico-politica che ci ha portato a negare da decenni l’etnocentrismo in favore di un approccio aperto alla conoscenza, alla comprensione dell’altro e allo scambio con lui.

Sara Braga

09/05/10

 

Una domenica di Maggio....

Nel mondo della cooperazione è convinzione diffusa che il Mozambico sia un paese facile…E forse lo è!

….ma per chi??? Credo solo per noi che ci “eccitiamo” all’idea di rinunciare alle nostre comodità per un anno o due.

Qui non c’è guerra. I bambini non hanno le tipiche pancie gonfie con cui i giornalisti tendono a presentare l’Africa. I tassi di furti e rapine sono minori rispetto ad altri paesi dell’Africa Australe. E’ un paese ricco di paesaggi incantati, musiche e colori, il che contribuisce spesso a confonderlo con una di quelle fotografie dei cataloghi Valtour. E le spiaggie della costa sono piene di muscolosi surfisti sudafricani.

Nonostante ciò, uno sguardo più attendo restituisce, spaccati violenti. Il Mozambico non è facile, non è facile per le donne, per gli uomini, per gli adolescenti e per i bambini. Gli anziani? Non li ho dimenticati, semplicemente sono specie rara qui dove l’aspettativa di vita è circa 42 anni.

Oggi durante la messa mi è parso di scorgere una ragazzina incinta, avrà avuto poco più di 12 anni; è ancora una bambina, penso subito. Ma poi, è una bambina solo per noi? No caspita! Non voglio rassegnarmi a credere che in questi posti, come si suol dire, “si cresce in fretta”. Quella ragazza è ancora una bambina, e come tale non merita di partorire un figlio, che sarà ancora più sfortunato di lei a crescere tra le braccia di una neo-mamma bambina.

Nonstante gli sforzi degli attori presenti in loco, l’infanzia ad Inhassoro trasuda tristezza. Certo, per la strada i bimbi sono i primi a sorriderti ed agitare le mani gridando “tataaaa” – ciao, in Xitsua – ma lo fanno da soli. Alle 12, lungo il percorso che da scuola mi porta a casa sono decine i bambini che incrocio; camminano, o piuttosto zampettano, da e verso la Escolinha – un incrocio tra il nostro asilo nido e la scuola materna - con i loro grembiulini ma lo fanno da soli. Sono simpatici certo, ma sono da soli.

Naturalmente è la povertà che genera questo tipo di violenza; perché, a mio avviso, di violenza si tratta. Pur rispettando una diversa tradizione che implica a sua volta un legame diverso tra genitori e figli, non è possibile bollare queste distorsioni come semplici differenze tra la nostra e una differente cultura. Ragazze dodicenni in attesa di un figlio o bambini lasciati liberamente pascolare lungo le strade sono frutto di una violenta povertà.

Così, il Mozambico – come altri paesi – non è più un paese facile. Crescere qui dovrebbe almeno poter significare provare a schivare la violenza.

E' solo una riflessione di una domenica di Maggio.

Sara

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